Tra boschi, pascoli e campi coltivati degli altipiani della Murgia si nascondono le tracce di un patrimonio archeologico recente, diffuso e poco visibile, legato al Novecento e in particolare ai conflitti che hanno segnato il “secolo breve”: le due guerre mondiali e la Guerra fredda. Si tratta di resti materiali di campi di prigionia, centri di addestramento per partigiani, basi missilistiche e centri di accoglienza per profughi, che restituiscono una geografia bellica inaspettata, in forte contrasto con l’immagine idealizzata di un paesaggio rurale immutabile e pacificato.
Tra questi luoghi, spicca Campo PG65, costruito all’inizio della Seconda guerra mondiale a metà strada tra Altamura e Gravina in Puglia. Con una capacità prevista di 12.000 prigionieri, fu il più grande campo d’internamento per sottufficiali e truppa realizzato in Italia. Oggi dell’enorme insediamento – che occupava oltre 30 ettari e comprendeva più di 100 edifici – rimangono solo una dozzina di ruderi, nascosti nella campagna e difficilmente accessibili. Dal 2020, il sito, e la sua lunga storia che va ben oltre gli anni del conflitto, è oggetto di uno dei pochi progetti italiani di archeologia del contemporaneo, l’unico nel Mezzogiorno, che mira a restituire visibilità e senso a questa “città invisibile”, cancellata nel 1988 e le cui macerie vennero usate per costruire un tratto della statale 96. Dal 2021, quattro campagne di scavo hanno iniziato a riportare alla luce le storie silenziose di questo luogo.
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Giuliano De Felice - scavare nel contemporaneo